In tutta Europa, i sistemi pensionistici nascono con l’obiettivo di garantire stabilità economica ai cittadini una volta conclusa la carriera lavorativa. Pur nella diversità delle soluzioni adottate da ogni Paese, questi sistemi condividono alcuni pilastri fondamentali:
- il sistema pubblico come fonte di reddito primaria;
- l’obbligatorietà dei versamenti contributivi;
- la diffusione di fondi pensione privati o aziendali.
Comprendere somiglianze e differenze tra i vari modelli è essenziale, ed è proprio questo lo scopo del nostro approfondimento. Dopo una visione d’insieme, esamineremo da vicino i sistemi di Italia, Germania, Francia e Spagna, soffermandoci su alcuni aspetti caratterizzanti:
- età anagrafica per il pensionamento;
- anni di contributi richiesti;
- possibilità di anticipo pensionistico;
- peso della previdenza complementare.
Concluderemo l’articolo con un quadro riassuntivo, pensato per un confronto rapido e intuitivo tra i modelli analizzati.
Come funzionano le pensioni in Europa?
I sistemi pensionistici si fondano principalmente su due modelli, spesso combinati tra loro: il sistema a ripartizione, in cui i contributi dei lavoratori attivi finanziano le pensioni correnti, e quello contributivo, dove l’assegno finale dipende dall’ammontare dei contributi versati dal lavoratore nel periodo di attività.
Tuttavia, lo scenario demografico italiano ed europeo, segnato da una crescente longevità e da un calo delle nascite, sta mettendo a dura prova la sostenibilità finanziaria di questi meccanismi, specialmente di quelli fondati sulla solidarietà intergenerazionale. Di fronte a questa sfida, quasi tutti i Paesi hanno avviato riforme che portano a un progressivo innalzamento dell’età pensionabile e a una riduzione del cosiddetto tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra il primo assegno pensionistico e l’ultimo stipendio percepito.
Il filo conduttore di questi cambiamenti resta la volontà di ridurre le pressioni sul sistema pubblico, garantendo una “rete di sicurezza” economica per la terza età. Per farlo, i vari Paesi incoraggiano l’adesione a forme di previdenza complementare.
Perché è importante conoscere i sistemi pensionistici europei
Acquisire familiarità con i sistemi pensionistici degli altri Paesi europei si rivela cruciale per molteplici ragioni.
Innanzitutto, in un contesto di crescente mobilità lavorativa, sono sempre più numerosi i lavoratori che costruiscono la propria carriera attraversando i confini nazionali, trovandosi poi a dover far valere i periodi contributivi maturati in Stati diversi al momento del pensionamento.
Sebbene ogni Paese mantenga le proprie normative, l’Unione Europea prevede un meccanismo di coordinamento pensato proprio per tutelare chi si sposta per lavoro, assicurando il riconoscimento dei contributi versati altrove.
Oltre a questo, una visione più ampia aiuta soprattutto le nuove generazioni a pianificare il proprio futuro con maggiore consapevolezza. Essa permette infatti di comprendere a fondo le opportunità offerte dal sistema nazionale e di adottare strategie di risparmio mirate, valutando ad esempio l’adesione a forme di previdenza integrativa.
Questa apertura verso l’esterno stimola inoltre un confronto critico sui pregi e i difetti del proprio modello pensionistico, alimentando la consapevolezza sulla necessità di riforme o sulle attrattive offerte da altre soluzioni.
Infine, un’analisi comparata contribuisce a sfatare alcuni luoghi comuni, primo fra tutti quello del “Paese perfetto” per la pensione. La realtà è che ogni sistema presenta luci e ombre ed è in costante evoluzione per adattarsi ai mutamenti della società. In un’epoca in cui la sicurezza dell’assegno pensionistico non può più essere data per scontata, informarsi non è solo una scelta saggia, ma una vera e propria necessità.
Italia: il sistema a ripartizione, tra età anagrafica e contributiva
Il modello pensionistico italiano poggia sul già citato principio della ripartizione, che si basa su un patto intergenerazionale in cui i contributi dei lavoratori attuali finanziano direttamente gli assegni dei pensionati. Questo impianto storico, tuttavia, è stato profondamente trasformato da decenni di riforme, che hanno introdotto il metodo di calcolo contributivo e innalzato gradualmente l’età per il pensionamento.
Di conseguenza, la maggior parte delle pensioni oggi viene calcolata in base ai contributi effettivamente versati lungo l’intera carriera. Mentre per i lavoratori con anzianità contributiva antecedente al 1995 sopravvive un sistema misto (in parte retributivo e in parte contributivo), per tutti gli altri l’assegno è determinato unicamente dal montante accumulato.
Per approfondire, invitiamo a consultare l’approfondimento Il calcolo della pensione: retributivo, contributivo e misto.
Attualmente, per accedere alla pensione di vecchiaia sono richiesti 67 anni di età e almeno 20 anni di versamenti, sebbene esistano opzioni per un’uscita anticipata, spesso a fronte di una riduzione dell’importo dell’assegno pensionistico. Questo requisito anagrafico non è statico: è infatti agganciato all’andamento della speranza di vita, con adeguamenti automatici rilevati dall’ISTAT che tendono a innalzarlo nel tempo.
La vera sfida del sistema italiano risiede però nella sua sostenibilità a lungo termine. Il progressivo invecchiamento della popolazione, unito a un basso tasso di natalità (il cosiddetto “inverno demografico”), sta erodendo il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati. Questo squilibrio mette a rischio la tenuta dei conti pubblici, in un contesto caratterizzato peraltro da un elevato debito pubblico, rendendo inevitabili nuove riforme e, al contempo, accentuando l’importanza della previdenza complementare.
Aderire volontariamente a un fondo pensione diventa così una strategia imprescindibile per integrare l’assegno pubblico e mantenere un tenore di vita adeguato dopo il ritiro dal lavoro. Per questo, lo Stato incentiva l’adesione alla previdenza complementare, come fatto ad esempio con la Legge di Bilancio 2025.
Germania: un sistema basato su lavoro e contributi
Il sistema pensionistico tedesco è saldamente ancorato al principio contributivo, un modello in cui l’assegno finale riflette fedelmente i versamenti accumulati nel corso della vita lavorativa. La gestione è affidata all’ente previdenziale nazionale, la Deutsche Rentenversicherung (DRV), che impone a quasi tutti i lavoratori dipendenti e ad alcune categorie di autonomi il versamento di una quota fissa del reddito lordo (attualmente il 18,6%), suddivisa equamente tra datore di lavoro e dipendente.
Il cuore del modello tedesco risiede però in un meccanismo peculiare: i “punti pensionistici” (Entgeltpunkte). Ogni anno, il sistema assegna punti in base al rapporto tra il reddito individuale e quello medio nazionale. Un lavoratore che percepisce uno stipendio in linea con la media guadagna un punto; chi guadagna di più o di meno ne accumula una frazione proporzionalmente maggiore o minore. Al momento del pensionamento, la somma di tutti i punti maturati viene moltiplicata per un valore monetario fisso, rivalutato annualmente, determinando così l’importo dell’assegno.
Per chi è nato dopo il 1964, l’età pensionabile di riferimento è fissata a 67 anni, sebbene sia possibile anticipare l’uscita a partire dai 63 anni, accettando però una penalizzazione sull’assegno. Inoltre, per maturare il diritto alla pensione è sufficiente un minimo di cinque anni di contribuzione.
Questo impianto premia chiaramente la continuità e la stabilità della carriera, favorendo chi accumula lunghi periodi di versamenti.
A fianco del pilastro pubblico, in Germania prospera un solido sistema di previdenza complementare, articolato in regimi aziendali (bAV) e in piani privati come le “Riester-Rente” e “Rürup-Rente”. Questi strumenti, a cui è possibile aderire volontariamente proprio come in Italia, sono concepiti per integrare l’assegno statale e offrire così una maggiore serenità economica durante la terza età.
Francia: tra tradizione e riforme recentissime
Come in Italia, il sistema pensionistico francese è saldamente ancorato al principio della ripartizione, un modello in cui i contributi dei lavoratori attivi finanziano le pensioni correnti. Questo impianto, fortemente regolamentato dallo Stato, si distingue per la sua complessa architettura di regimi di categoria (privati, pubblici e speciali) e per l’ambizione di preservare un elevato tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra l’assegno pensionistico e l’ultimo stipendio.
Negli ultimi anni, tuttavia, l’aumento della longevità e le proiezioni demografiche hanno messo il sistema sotto pressione, rendendo necessarie profonde riforme per preservarne la sostenibilità.
L’intervento del 2023, in particolare, ha segnato una svolta, avviando l’innalzamento graduale dell’età pensionabile da 62 a 64 anni e allungando il periodo di contribuzione richiesto per ottenere un assegno pieno.
Il diritto alla pensione è infatti calcolato sulla base di “trimestri contributivi”: per ricevere l’assegno a pieno titolo è necessario averne accumulato un numero sufficiente, altrimenti l’importo viene ridotto.
Mentre l’età minima di pensionamento si sta gradualmente assestando sui 64 anni entro il 2030, il sistema prevede tutele per chi ha iniziato a lavorare in giovane età o ha svolto mansioni usuranti.
Sebbene queste riforme abbiano scatenato un acceso dibattito pubblico, sono state presentate come un passo indispensabile per scongiurare deficit di bilancio e assicurare maggiore equità tra le diverse categorie di lavoratori.
Anche in Francia la previdenza integrativa costituisce un pilastro importante che affianca quello pubblico. Ciononostante, e pur registrando una partecipazione diffusa, il livello di risparmio previdenziale accumulato dai cittadini francesi tende a essere inferiore rispetto a quello di altri Paesi europei.
Spagna: ripartizione, con uno sguardo sulla sostenibilità finanziaria
Anche la Spagna si affida a un sistema pensionistico a ripartizione, fondato su quel patto di solidarietà tra generazioni che la accomuna a Italia e Francia: i contributi versati oggi dai lavoratori attivi servono a finanziare gli assegni dei pensionati.
Gestito dall’ente nazionale della Seguridad Social, il sistema eroga una pensione proporzionata agli anni di attività e ai contributi versati. Tuttavia, come in molti altri Paesi, le crescenti difficoltà demografiche hanno acceso un intenso dibattito sulla sua sostenibilità futura.
L’accesso alla pensione di vecchiaia è legato a un’età anagrafica che, pur essendo fissata a 66 anni e 6 mesi per il 2025, è destinata a salire progressivamente fino a 67 anni. Per maturare il diritto al pensionamento, sono richiesti almeno 15 anni di versamenti, con la condizione che due di questi siano stati effettuati negli ultimi quindici anni di carriera. È inoltre prevista un’opzione di uscita anticipata a 65 anni, riservata però a chi può vantare una lunga carriera contributiva, pari ad almeno 37 anni e 9 mesi secondo i parametri attuali.
A differenza del modello italiano, che si è orientato verso il calcolo contributivo, quello spagnolo rimane ancorato a un sistema di tipo retributivo: l’importo dell’assegno viene infatti calcolato sulla base delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di lavoro. Questa combinazione di fattori, unita a una spesa pensionistica in crescita, solleva grandi interrogativi sulla tenuta finanziaria del sistema nel lungo periodo, lasciando presagire la necessità di future riforme.
In questo contesto, la previdenza integrativa sta guadagnando terreno, sebbene la sua diffusione in Spagna resti ancora meno capillare rispetto a quella di altri Paesi europei.
Il confronto: somiglianze e differenze in sintesi
Ricapitoliamo le informazioni fin qui fornite, attraverso una tabella di confronto sui principali elementi legati ai sistemi pensionistici dei diversi Stati.
Paese | Età pensionabile generale | Tipo di sistema | Anzianità contributiva minima | Previdenza complementare | Caratteristica chiave |
---|---|---|---|---|---|
Italia | 67 anni (nel 2025) | A ripartizione, con calcolo contributivo | 20 anni | Facoltativa, in crescita | Sotto pressione, incentiva l’adesione alla previdenza complementare |
Germania | 67 anni (nel 2025) | Contributivo, con punti pensionistici | 5 anni | Diffusa e incentivata | Premia chi lavora e guadagna di più e stabilmente |
Francia | 64 anni (dal 2030) | A ripartizione, basato sui trimestri contributivi | Non prevista | Diffusa, ma con risparmio contenuto | Cambia spesso per mantenere la sostenibilità |
Spagna | 66 anni e 6 mesi (nel 2025) | Ripartizione, con calcolo retributivo | 15 anni | Poco diffusa, ma in crescita | Generoso oggi, ma sotto pressione |
Per chi si sposta tra più Paesi europei, il sistema di coordinamento UE permette di sommare i periodi di contribuzione accumulati in diversi Stati membri: i contributi raccolti in Italia, Francia, Germania o Spagna vengono riconosciuti e calcolati in base alle regole di ciascun Paese, evitando la perdita dei diritti pensionistici.
Conclusione
Al di là delle loro specifiche architetture, tutti i sistemi pensionistici esaminati condividono un obiettivo primario: garantire ai cittadini una protezione economica nella terza età.
Tutti, senza eccezioni, si trovano ad affrontare le medesime sfide epocali: l’invecchiamento demografico, la sostenibilità dei conti pubblici e le trasformazioni del mercato del lavoro.
Questa pressione comune spinge verso un’evoluzione costante delle regole e pone un’enfasi sempre maggiore sulla previdenza complementare.
In un simile scenario, pianificare con largo anticipo, informarsi a fondo sul proprio sistema previdenziale e, ove possibile, diversificare le fonti di reddito future diventano passaggi irrinunciabili. È proprio questa consapevolezza che consente di evitare spiacevoli sorprese e di avvicinarsi con maggiore serenità al traguardo della pensione.
In questo contesto, il quadro normativo europeo agisce come un prezioso collante, garantendo il coordinamento tra i diversi sistemi e tutelando i diritti di chi, oggi più che mai, costruisce il proprio percorso professionale senza confini.
Messaggio promozionale riguardante forme pensionistiche complementari – prima dell’adesione leggere la Parte I ‘Le informazioni chiave per l’aderente’ e l’Appendice ‘Informativa sulla sostenibilità’, della Nota informativa.